Un
arco per Tito. Distruttore di Gerusalemme.
Costruito
alla fine del I secolo d.C., l’arco di Tito è uno dei monumenti più
rappresentativi della prima arte imperiale e ci restituisce la preziosa
testimonianza di un tragico ed epocale evento storico.
Il
9 agosto del 70 d.C., l’esercito romano guidato da Tito, figlio dell’imperatore
Vespasiano, appiccò il fuoco al Tempio di Gerusalemme. Anche se gli scontri si
protrassero ancora per alcuni anni, era l’ultimo atto della Guerra giudaica, un
conflitto costato agli Ebrei più di 1 milione di morti (almeno stando alle
testimonianze dello storico ebreo Giuseppe Flavio) e ai Romani circa 20mila
uomini. L’anno successivo, il condottiero vittorioso festeggiò il suo trionfo a
Roma insieme al padre, che prima di tornare nella capitale per essere acclamato
imperatore aveva a sua volta condotto la campagna militare. Fece sfilare per le
vie dell’Urbe, affollate di gente, 700 prigionieri giudei scelti fra i più
prestanti, che furono trascinati in catene; insieme a loro, alcuni dei loro
capi e tutti gli arredi del Tempio, razziati dopo la vittoria. Del tesoro
portato a Roma faceva parte il candelabro a sette bracci (la famosa Memorah),
usato dagli Ebrei durante le loro celebrazioni, oltre a trombe d’argento e,
pare, ai rivestimenti d’oro del Tempio. Un tesoro tanto importante che,
recentemente, in base alla ricostruzione di un’iscrizione dell’epoca, si è
ipotizzato che lo stesso Colosseo sia stato edificato grazie al bottino
raccolto durante la campagna in Giudea. Tra i beni razziati dai Romani non ci
sarebbe stata invece l’Arca dell’Alleanza, nonostante una tradizione affermi
che l’imperatore l’abbia donata alla principessa Berenice, figlia di Erode
Agrippa II: secondo gli archeologi, il sacro manufatto era già scomparso da tempo.
Rilievo della processione sull'Arco di Tito
DEDICHE E RILIEVI. Tito, che lo storico
Svetonio definisce “amor ac deliciae generis humani”, (amore e delizia del
genere umano), salì al trono imperiale il 24 giugno del 79 d.C., succedendo al
padre Vespasiano. Il suo regno durò poco più di due anni: Tito morì il 13
settembre dell’81, colpito da una letale febbre malarica o forse avvelenato per ordine del fratello,
Domiziano, che gli succedette come imperatore. Fu proprio Domiziano, qualche
anno dopo, la morte di Tito, a far edificare in sua memoria l’arco che ancora
sorge nella parte occidentale del Foro Romano, sulle pendici del colle
Palatino. Si tratta di un monumento a una sola arcata, solido e compatto,
costruito in marmo bianco. Lo zoccolo, invece, è di robusto travertino, il
lapis tiburtinus, che veniva scavato nella zona di Tivoli e rappresentava una
delle principali risorse edilizie dei Romani. Ai fianchi dell’arcata
dell’arcata, su ogni facciata, due semicolonne reggono una trabeazione. Sopra
quest’ultima, s’innalza il cosiddetto “attico”, su cui campeggia l’iscrizione
dedicatoria:
“SENATUS
POPULUSQUE ROMANUS DIVO TITO DIVI VESPASIANI F(ILIO) VESPASIANO AUGUSTO”
(“Il Senato e il popolo
di Roma al divino Tito Vespasiano Augusto, figlio del divino Vespasiano). Il
fatto che Tito sia citato come divo (“divino”) indica che la costruzione è
successiva alla sua morte, poiché l’apoteosi degli imperatori, ossia la
divinizzazione, avveniva soltanto dopo la loro scomparsa. L’interno del
monumento è di cementizio (calcestruzzo composto di calce, cenere vulcanica e
polvere di tufo legate con acqua di mare), ampiamente usato a Roma fin dal III
secolo a.C.: un materiale economico e andato ai cosiddetti riempimenti. Le
semicolonne sono chiuse da capitelli composti, anch’essi tipici
dell’architettura romana, caratterizzati dalla sintesi degli ordini greci
ionico (con le sue eleganti volute) e corinzio (di cui sono propri i decori e a
foglia d’acanto). Il fregio della trabeazione, piuttosto semplice, rappresenta
una scena di sacrificio, i suovetaurilia, che consisteva nell’immolazione alle
divinità di tre animali: un maiale (sus), un montone (ovis) e un toro (taurus).
Il sacrificio era genericamente rivolto a Marte, a cui veniva dedicato
espressamente il toro, mentre il montone spettava a Quirino (protettore del
popolo romano) e il maiale alle divinità infere. Sempre in alto, al centro
della volta, si trova una piccola scultura rappresentante Tito portato in cielo
da un’aquila, allusione evidente alla sua divinizzazione.
Ricostruzione del rilievo dell'Arco di Tito
IL TESORO DEL TEMPIO. Le due realizzazioni
scultoree più interessanti sono poste all’interno del fornice, sui due lati
contrapposti, e rappresentano i motivi del trionfo decretato in onore di Tito.
Il rilievo sulla parete nord raffigura l’imperatore in trionfo su una quadriga,
mentre viene incoronato dalla dea Vittoria. Forse si riferisce a una scena
realmente vissuta da Tito dopo il ritorno vittorioso da Gerusalemme; in
origine, gli archi di trionfo altro non erano che costruzioni vegetali,
costituire da rami intrecciati, addobbati con fronde di quercia e lauro, sotto
cui venivano fatti passare i vincitori, come se si trattasse di numi capaci,
grazie alle loro forza vittoriosa, d’infondere fertilità nella terra patria. Il
passaggio di Tito sulla quadriga, guidata da piedi dalla dea Virtù, che precede
il corteo del popolo dei Quiriti e di Roma stessa, ha probabilmente la stessa
funzione: l’imperatore, in quanto padre della Patria, ne è anche il
vivificatore. Questo significato è accentuato dalla presenza dei littori che,
con i fasci fra le mani, danno al corteo un significato sacro e religioso.
Sul lato opposto, cioè
quello sud della costruzione, alla dimensione “spirituale” dell’evento viene
contrapposta quella “materiale”. Vi si vedono i soldati reduci dalla guerra,
con le loro insegne, che trasportano le ricchezze conquistate grazie all’ultima
vittoriosa battaglia, seguita dal saccheggio di Gerusalemme. In bella mostra ci
sono il candelabro a sette bracci e le trombe d’argento, che durante l’esodo
erano utilizzate per segnalare al popolo di Mosè che era il momento di
rimettersi in marci o per convocare l’assemblea popolare dei capi tribù. Erano
le stesse trombe che ogni giorni, nel Beit Hamikdash, il Santuario di
Gerusalemme, venivano suonate durante i sacrifici, ma anche per indicare l’apertura
del Tempio, la fine del lavoro quotidiano e l’inizio del Sabato, giorno sacro
agli Ebrei. Completava il bottino la tavola su cui ogni giorno veniva
presentato a Dio il pane che gli officianti preparavano per lui.
Il rilievo di queste
figure è talmente vivido, e i loro profili resi con tale accurato realismo, da
dare l’impressione, ancora oggi, di assistere al corteo trionfale del divino
Tito.
Rilievo con la quadriga
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