Lavrentij Berija
Feroce e inflessibile,
il braccio destro del dittatore soveitico fece la stessa atroce fine delle sue
innumerevoli e disgraziate vittime.
Negli
ultimi mesi del 1953, tutti gli abbonati alla monumentale Bol’saja Sovetskaija,
Enciklopedija, la Grande enciclopedia sovietica in 55 volumi, ricevettero a
domicilio un plico contenente quattro pagine dell’opera e una lettera
d’accompagnamento “La casa editrice
sciendeija raccomanda di togliere dal 5° volume le pagine 21, 22, 23, e 24,
nonché il ritratto inserito tra le pagine 22 e 23. In sostituzione, vengono
fornite nuove pagine con il nuovo testo. Le suddette pagine vanno tagliate con
le forbici o con una lametta da barba, lasciando vicino alla cucitura un
margine a cui incollare le nuove pagine”. Le pagine da sostituire erano
dedicate a Lavrentij Berija, che il vecchio testo definiva “come dei più eminenti dirigenti del Partito e dello Stato sovietico,
fedele seguace e tra i più stretti collaboratori di I.V. Stalin, membro del
Politbjuro del Comitato centrale del Partito, vicepresidente del Consiglio dei
ministri dell’Urrs” nonché, si sarebbe dovuto aggiungere, capo dei servizi
segreti sovietici. Nell’estate di quello stesso 1853 Berija era morto, per mano
dello stesso partito che aveva servito fedelmente per trent’anni. Non poteva
più figurare nell’enciclopedia di Stato, per cui il suo posto fu preso da un accurato
articolo sul Mare di Berling.
La prassi, benché
inquietante agli occhi dell’Occidente, non era inconsueta in Unione Sovietica.
i personaggi divenuti scomodi scomparivano dalle pagine dell’enciclopedia e
dalle fotografie, modificando la memoria pubblica e la storia dell’Urss,
proprio come descritto da George Orwell nel suo romanzo dispotico 1984. Ma che
cosa aveva fatto Berija, il fedelissimo di Stalin, per meritarsi un simile
trattamento?
UNA CARRIERA FOLGORANTE. Stalin lo chiamava “il
nostro Himmler”, e non senza ragione. A parte un’indubbia e singolare
somiglianza fisica con il Reichsfuhrer delle SS, Berija fu per la Russia
sovietica quello che Himmler fu per la Germania nazista: un funzionario rigido
e incorruttibile, un pianificatore cinico ed efficiente, un perfetto burocrate
dello sterminio.
Nato nel 1899 in
Georgia (come Stalin ma più giovane di lui di vent’anni), Lavrentij Pavlovic
Berija era ancora un ragazzo quando la Rivoluzione d’Ottobre del 1917 spazzò
via il secolare imper o degli zar per sostituirgli un’autocrazia altrettanto
oppressiva. La Storia è avara d’informazione sui suoi primi anni; si sa che era
figlio di contadini, che studiò in una scuola tecnica e che, ancora ragazzo, si
iscrisse al partito bolscevico, il PCUS, forse nel marzo 1917, quando era
studente d’ingegneria a Baku (o forse nel 1919, a rivoluzione conclusa, come
suggeriscono altre fonti). Si dice che in quel periodo si fosse arruolato
nell’Armata Rossa per poi disertare, ma anche questo dato non è verificabile.
Di sicuro era giovanissimo quando, tra il 1920 e il 1921, entrò nella polizia
politica dell’Urss, la “Commissione straordinaria di tutte le Russie per
combattere la controrivoluzione, la speculazione e l’abuso di potere” o Ceka,
bruciando le tappe. Nel 1922, il giovane Lavrentij occupava già un posto di
rilievo nella sezione georgiana della Gpu, il “Direttore principale per la
sicurezza dello Stato” che aveva sostituito la Ceka. Nel 1925 fu lui a guidare
la repressione della rivolta nazionalista scoppiata nella capitale georgiana
Tbilisi, mettendosi in luce e per spietatezza. Stalin, favorevolmente
impressionato, nel 1926 gli affidò la direzione della Gpu in Trancaucasia.
Berija venne nominato segretario del Pcus in Georgia nel 1931 e per l’intera
regione trans caucasica nel 1932; nel 1934, divenne membro del Comitato
centrale del Partito Comunista. La sua ascesa era compiuta.
LE MARCE DELLA MORTE. In quello stesso 1934
venne istituito un nuovo organismo, il “Commissariato del popolo per gli affari
interni”, o Nkvd, responsabile delle strutture detentive (carceri e campi di
lavoro forzato) e del corpo di polizia. Ben presto fu chiaro che l’Nkvd era in
realtà una polizia segreta, dotata di poteri straordinari che la sottraevano al
normale controllo esercitato dall’apparato statale. Il suo ruolo divenne
centrale nel drammatico periodo del Grande Terrore: il biennio 1936-1938, in
cui una spietata repressione di massa colpì, oltre agli oppositori del regime,
chiunque fosse anche soltanto vagamente sospettato di antistalinismo,
espressione generica nella quale poteva rientrare di tutto, da una battuta
fraintesa a un gesto male interpretato. Berija, che ormai era un fedelissimo di
Stalin, applicò le purghe in Transcaucasia con particolare accanimento,
imponendosi come il più feroce esecutore degli ordini provenienti dal Cremlino.
Di fatto, il responsabile materiale delle spaventose purghe che devastarono
l’Urss in quegli anni fu Nikolaj Ezov, capo dell’Nkvd, come dimostra che in
Russia quel periodo sanguinoso è ricordato con il nome di Ezovscina, “era di Ezvo”.
Sotto di lui, furono arrestati circa 7 milioni di russi, tra civili e militari,
poi internati nel gulag; vennero espulsi dall’esercito 35mila ufficiali su
80mila, e fucilate oltre 680mila persone. Nel novembre 1938, fu lo stesso
Stalin a criticare i metodi dell’Nkvd, sostituendo Ezov con Berija. Nel 1939
Ezov, arrestato con l’accusa di spionaggio e tradimento, venne giustiziato e la
sua figura scomparve dalla storia sovietica. La decisione di rimuovere Ezov
dall’incarico fu dettata a Stalin da considerazioni di carattere pragmatico e
non certo etico: le epurazioni avevano raggiunto un’estensione tale da
compromettere seriamente le infrastrutture dello Stato, ed era necessario porvi
un freno. Sotto Berija, al contrario, la morsa repressiva si allentò e la
situazione divenne relativamente più distesa.
Nel frattempo, però,
era scoppiata la Seconda guerra mondiale, che diede a Berija l’occasione di
rinverdire la propria triste fama. In una lettera del 5 marzo 1940 indirizzata
a Stalin, fu lui a proporre l’eliminazione fisica di 25.700 polacchi:
intellettuali, imprenditori, preti, oltre a 14700 prigionieri di guerra. Tra
loro figuravano anche i 4500 ufficiali sterminati nel bosco di Katyn, la cui
esecuzione fu per decenni attribuita alle truppe tedesche. Nel corso del
conflitto, le responsabilità di Berija cambiarono. Nel giugno 1941, con
l’invasione tedesca dell’Urss, egli entrò nel Comitato di difesa dello Stato e
procedette alla riorganizzazione della produzione bellica. Nel 1944 fu
incaricato della deportazione in Asia centrale delle minoranze etniche accusate
di collaborazionismo: oltre mezzo milione di persone tra ceceni, ingusci,
tatari e italiani (di origine genovese) di Crimea e tedeschi del Volga
dovettero affrontare una “marcia della morte”, che li decimò ancor prima di
arrivare a destinazione. Finita la guerra, si aprì la lotta alla successione
tra i delfini di Stalin. il leader sovietico era ormai prossimo alla
settantina, e occorreva pensare al futuro dell’Urss. Il nome più papabile era
quello di Andrej Berija, ormai divenuto vice primo ministro, che ben presto
cominciò a perdere consensi. A peggiorare la situazione intervenne il crescente
antisemitismo di Stalin, e poiché l’entourage personale di Berija comprendeva
un numero consistente di ebrei la sua posizione si fece delicata. Negli anni
seguenti gli scontri, aperti o striscianti, tra Berija e i suoi detrattori si
susseguirono senza posa, mentre lo dipingevano come un sadico pervertito, che
amava torturare giovani donne e perfino bambine dopo averle stuprate. Dal canto
suo, Berija continuava a operare con i metodi consueti delle epurazioni e
violenze.
Numero del luglio 1953 della rivista statunitense TIME con Berija in copertina. Sotto la sua immagine si legge la scritta: "Nemico del popolo
DA PERSECUTORE A PERSEGUITATO. Il 5 marzo 1953,
dopo quattro giorni di agonia, Stalin morì, vittima di un collasso dopo una
cena alla quale aveva partecipato, tra gli altri, lo stesso Berija. Secondo le
dichiarazioni rese quarant’anni più tardi dal ministro del Esteri Vjaceslv
Molotov, Berija si sarebbe vantato con lui di aver avvelenato Stalin; non
esistono prove che confermino questa testimonianza, mentre sembra certo che fu
Berija a ritardare i soccorsi al leader moribondo, con la tacita approvazione
dei presenti. In ogni caso, dopo la morte di Stalin, l’Urss conobbe un periodo
d’inattesa liberalizzazione, di cui fu proprio Berija l’artefice: ordinò il
rilascio di 1 milione di prigionieri dai gulag, firmò nell’aprile del 1953 un
decreto che proibiva la tortura nelle carceri sovietiche, invitò il regime
comunista della Germania dell’Est all’adozione di politiche più morbide e cercò
di ridimensionare il ruolo politico del PCUS.
Forse Berija agì per un
sincero desiderio di migliorare le condizioni del popolo, o forse per semplice
propaganda in vista della scalata al potere. in ogni caso, i vertici del
partito non approvarono, e il declino di Berija fu più rapido della folgorante
ascesa. Il 26 giugno 1953, Nikita Chruscev lo accusò di essere al soldo dei
servizi segreti britannici, facendolo arrestare ed eliminare immediatamente.
Altri sostengono che fu imprigionato e giustiziato in un secondo, dopo aver
implorato inutilmente pietà ai suoi carnefici, come dovevano aver fatto gli
innumerevoli innocenti mandati a morte per suo ordine. Non lo rimpianse
nessuno.
Articolo in gran pare
di Amelia A. Badalà pubblicato su Conoscere la Storia n. 50. Altri testi e
immagini da Wikipedia.
Nessun commento:
Posta un commento