Ludwig II di Baviera
Il re che sognava
troppo.
Il 13 giugno 1886
moriva (probabilmente assassinato dai suoi stessi ministri) il sovrano più
bizzarro d’Europa. Un uomo affascinante, colto e pacifico, strenuo difensore
delle arti.
Ludovico II di Baviera nel giorno dell'incoronazione, dipinto di Ferdinand von Piloty, 1865
Benché non più ricchissima e potente come lo era stata un tempo, la
Baviera del XIX secolo era un regno in cui le radicate tradizioni cattoliche
convivevano in pace con un progressismo politico piuttosto sciatto. La sua
storia è intimamente legata a quella della dinastia che lo governa da quasi
mille anni, i Wittelsbach. Così nel 1848, quando l’Europa viene scossa dalle
rivonluzioni che chiedono a gran voce costituzioni e riconoscimenti dei diritti
dei cittadini, in Baviera si costringe il re, il simpatico Ludwig I, ad abdicare
per colpa di una scandalosa relazione con un’avventuriera irlandese che si
spaccia per ballerina spagnola, la famosa Lola Montez. Al vecchio monarca
libertino, ancora amatissimo dal popola per la sua stravagante personalità,
succede il più prosaico figlio di Massimiliano II, monarca morigerato e
prudente, malaticcio e dedito allo studio in questo scenario, il 25 agosto
1845, viene alla luce Ludwig, principe ereditario di Baviera, primogenito di
quello che i bavaresi impareranno a chiamare il “buon re Max” accanto alla meno
amata regina Maria di Prussia.
Come si conviene ai principi ereditari, per i primi dieci anni della sua
vita il piccolo Ludwig venne allevato da balle e istitutrici. Protetto dalle
amorevoli cure della governante Sibylle von Meilhaus, alla quale resterà
intimamente legato anche in età adulta, il giovane principe vive tra le due
regge di Monaco (il sontuoso palazzo barocco di Nymphenburg e la più austera
Residenz) e il castello di Hohenschwangau, situato a pochi chilometri a sud della
capitale, piccolo gioiello neogotico le cui pareti sono decorate da affreschi
che riproducono le antiche saghe germaniche. Sono immagini che catturano (fin
troppo) la fantasia del giovane principe, traboccanti come sono di cavalieri
chiusi in scintillanti armature che corrono in soccorso di sventurate
principesse.
Fotografia di Ludovico II di Baviera all'età di trent'anni
Neuschwanstein l’olimpio degli dei
del nord.
Quando Ludwig fece erigere il
ciclopico castello di Neuschwanstein, tra il 1869 e il 1886, lo fece
soprattutto per offrire a Wagner un luogo perfetto d’ispirazione. L’interno
del maniero venne decorato con cicli di affreschi dedicati a quella mitologia
germanica di cui il grande drammaturgo stava creando una sintesi con la
celeberrima tetralogia dell’Anello del Nibelungo.
Il risultato fu sorprendente,
corse di cattivo gusto, ma capace comunque di affascinare. Non per nulla, al
giorno d’oggi, un milione e mezzo di persone all’anno visitano le sue sale
istoriate, si meravigliano sotto le sue torri snelle dalle guglie azzurre,
sognano ai piedi di un trono che pare uscito più dagli studi di Hollywood
degli anni Cinquanta che dal Medioevo. Anche Walt Disney ne fu colpito, tanto
da farne il prototipo per il castello abitato dalla perfida regina Grimilde
del film a disegni animati Biancaneve e i sette nani del 1937. Nel 1868,
Ludwig scriveva al suo amico Wagner: “E’
mia intenzione far ricostruire l’antica rovina del castello di
Hohenschwangau, nei pressi della gola di Pollat, nello stile autentico delle
antiche fortezze dei cavalieri tedeschi e devo confessarVi di rallegrarmi
all’idea di potervi soggiornare un giorno”.
Sala del Trono
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A UN FUTURO RE TUTTO E’ PERMESSO. I rigori della
scuola militare, che lo costringe a fare bagni ghiacciati o a patire la fame
per temprare il fisico alle privazioni del campo di battaglia, non
intollerabili per il giovani principe, che sembra non assomigliare in nulla
all’apatico padre ma molto all’eclettico nonno: perfettamente consapevole del
proprio ruolo, Ludwig non perde l’occasione per sottolineare che un giorno sarà
re, arrivando perfino a pretendere una punizione per il figlio del conte Arco
che si è permesso di spintonarlo. Con il fratello minore, Otto, non è più
indulgente: i loro giochi finiscono sempre con il povero piccolo costretto ad
arrendersi o a perdere la partita per non offendere la superiorità gerarchica
del fratello e rischiare dolorose punizioni. Si racconta anche che il principino,
dopo essere uscito da un negozio con un borsellino non pagato, rispondesse
piccato al rimprovero della governante: “Perché
dovrei essere in colpa? Un giorno sarò re di questo paese e tutto ciò che
appartiene ai miei sudditi sarà mio!”.
I genitori di Ludwig,
come avviene in tutte le case reali, sono del tutto assenti nell’educazione del
principe. Il padre non lo fa presenziare alle sedute del governo e la madre
Marie, principessa prussiana dal sangue freddo, donna gretta e di scarsa
cultura, non riesce a trovare argomenti per conversare con lui. Mentre Ludwig
legge per ore e ore chiuso nella sua camera la regina madre afferma orgogliosa:
“Non ho mai letto un libro e non capisco
me si possa leggere interrottamente”. Una differenza talmente profonda che porterà
madre e figlio al contrasto, arrivando a un punto tale che Ludwig in più di
un’occasione si riferirà alla madre chiamandola la vedova del mio predecessore.
Appare sempre più
strano questo giovane principe che, invece di pensare alla carriera militare o
ad andare a caccia con il padre, legge libri, ama il teatro, adora il
melodramma e la storia dei sovrani francesi sviluppando quell’adorazione per
Luigi XIV, Luigi XV e Maria Antonietta che in età adulta diventerà una vera e
propria ossessione. A chi lo sorprende immerso nel buio della sua camera a
guardare nel vuoto chiedendogli se non si annoia risponde seccato: “Niente affatto, immagino cose bellissime e
mi diverto molto”. Al decimo compleanno la vita di Ludwig cambia
radicalmente, cedendo il passo a quella che viene considerata la formazione più conveniente a un futuro sovrano, con
rigidi piani di studio e un istitutore militare al posto della governante.
Ludwig vi si applica con determinazione, ma proprio non riesce a concentrarsi
sulle carte militari, preferendo gli spartiti e i libretti delle opere che
vengono rappresentate a teatro. A quindici anni gli viene concesso il permesso
di recarsi a teatro per assistere al Lohengrin di Richard Wagner, compositore
le cui idee sono contestate, che predilige le storie dei cavalieri nibelungici,
con quegli eroi biondi e perfetti che sembrano balzati fuori dai muri del
castello di Hohenscwangau per prendere vita.
Quando sul palcoscenico
appare il Cavaliere del Cigno la rivelazione è totale e sconvolgente, al punto
che chi può osservare il giovane principe seduto nel palco reale riesce a
vederne i tratti del viso alterati da una profonda emozione. Wagner sarebbe
lusingato nel contestare l’effetto che la sua opera ha sul giovane principe.
Compiuti i diciotto anni, quello che viene chiamato “il più bel principe
d’Europa”, grazie all’aspetto imponente (un metro e novanta di statura), ai
capelli neri vezzosamente ondulati con il ferro caldo e ai grandi occhi blu
scuro, comincia a soffre di solitudine avvertendo la necessità di stringere
amicizia con qualche coetaneo. La scelta cade sul giovane principe Paul von
Thurnu und Taxis, al quale si lega di un’amicizia profonda. Anche troppo. Negli
slanci amorosi di cui grondano le lettere scritte da Ludwig all’amico vanno forse
ricercati i primi segnali di quell’omosessualità che tormenterà la coscienza di
Ludwig per tutta la vita.
L’AMICIZIA CON RICHARD WAGNER. Prestante, dal
portamento regale e il fisico atletico (grazie alle lunghe nuotate e alle
cavalcate nei boschi), Ludwig appare ai futuri sudditi come una promessa di
felicità, e i cuori di tutte le ragazze del regno battono per lui. È così bello
ed elegante, con lo sguardo remoto e un po’ malinconico, che i bavaresi lo
vedono seguire a grandi passi il corteo funebre del padre il 14 marzo 1864: il
buon Max se n’è infatti andato troppo presto, lasciando il regno nelle mani di
un figlio ancora giovane e impreparato a tanta responsabilità.
Cinta la corona di re
di Baviera, dopo una solenne cerimonia vissuta come un incubo, Ludwig si
ripromette controvoglia di svolgere il suo ruolo con la massima determinazione,
ma non si sente all’altezza dei lunghi consigli di stato, e tutte le attività
connesse con il suo ruolo lo annoiano a morte. Se chiama un ministro con
estrema urgenza è solo per ordinargli di raggiungere Richard Wagner ovunque si
trovi per inviarlo a corte. Ora che è re vuole realizzare il suo sogno e avere
il compositore tutto per sé, stargli accanto quando compone dando vita e voce
ai suoi eroi, costruirgli un teatro in cui possa celebrare la sua arte. Vuole
condividere le fantasie e le emozioni del grande e discusso musicista. Questo
si darebbe senso alla sua vita e al suo status di re.
Purtroppo, però, Wagner
non affatto l’artista sommo e il bardo puro che il giovane re è convinto che
sia: braccato dalle polizie di mezza Europa, il musicista è invece un soggetto
rissoso e pieno di debiti. Raggiunto a fatica dagli emissari di Ludwig, il
compositore arriva a Monaco nel maggio 1864: il suo incontro con il re di Baviera
è commovente, con il sovrano che con la voce rotta per la commozione abbraccia
il compositore incredulo e imbarazzato da quell’accoglienza così calorosa.
A lungo attesa, l’opera
Tristano e Isotta va finalmente in scena il 10 giugno 1865. Il successo è enorme,
ma le nubi che si intravedono all’orizzonte non lasciano sperare nulla di
buono. Gli esborsi della tesoreria per far fronte alle assurde richieste del
compositore raggiungono presto cifre da capogiro. Diffamato dai giornali,
chiamata beffardamente “Lolus” (in riferimento a quella Lola che anni addietro
aveva fatto perdere la testa, e il regno, a re Ludwig I), Wagner viene
attaccato da ogni parte.
Il giorno in cui doveva
riscuotere un anticipo sul suo compenso, Wagner si vede consegnare, fuori dalla
parta della tesoreria, la cifra pattuita in monetine di rame contenute in
numerosi sacchi che è costretto far caricare su grossi carri. I passanti che
assistono alla scienza pensano che Wagner stia svaligiando le casse dello
Stato. Il colmo viene raggiunto quando Wagner approfitta della sua influenza
sul re per suggerirgli la nomina di un ministro. L’impopolarità del compositore
è giunta al culmine, il sovrano non può più difenderlo e si vede costretto a
chiedergli di lasciare Monaco. Tornerà dopo pochi mesi ma la scoperta di una
relazione adulterina con Cosima von Bulow, costringerà nuovamente il sovrano a
separarsi dal suo idolo.
Sissi il gabbiano.
Sul rapporto che lega
l’imperatrice Elisabetta d’Austria (la romantica Sissi) al cugino Ludwig si è
molto scritto e favoleggiato, tanto che molti biografi hanno spesso voluto
ravvisare nella loro intima amicizia una improbabile storia d’amore.
Certo è che il rapporto tra i due
non fu così idilliaco come spesso si legge: dopo anni di allontanamento si
ritrovano nel 1864 a Bad Kissingen durante un soggiorno alle terme. In
quell’occasione i due cugini, che si scrivono lettere firmandosi poeticamente
“Aquila” e “Gabbiano” (lettere nascoste nel cassetto dello scrittoio del
piccolo castello in stile pompeiano che si trova sull’isola delle Rose),
parlano molto e cavalcano assieme condividendo la loro passione per la
poesia, la libertà dalle costrizioni della corte e la notte. Giova però
ricordare che, mentre Ludwig idolatra letteralmente la cugina, ammirandola in
modo totale, Sissi riprende spesso Ludwig con giudizi molto severi: non
sopporta quando sbaglia a vestire l’uniforme austriaca, quando si presenta in
alta uniforme e con il parasole aperto, oppure quando si profuma
eccessivamente. Non è da escludere che il progressivo evolversi della
malattia mentale del sovrano ponga Elisabetta, anch’essa soggetta a gravi
nevrosi, di fronte al terrore di cadere vittima di quell’alienazione mentale
che da secoli riaffiora violenta nei membri della dinastia bavarese.
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Pazzia o semplice stravaganza?
Scrisse Elisabetta del cugino
Ludwig: “Non è abbastanza pazzo per
esser rinchiuso in gabbia, ma è troppo anormale per poter intrattenere
rapporti con le persone sane di mente”. È in effetti molto difficile,
ancora oggi, poter formulare una diagnosi precisa sull’effettivo stato
mentale di Ludwig negli ultimo anni di vita. Bernhard von Gudden, psichiatra
che si era già occupato della salute mentale del fratello Otto, facendolo
internare, decretò che Ludwig era affetto da un grave stato di paranoia che
gli vietava l’utilizzo del libero arbitrio. Si tratta di una patologia che si
era già manifestata a livelli più o meno gravi in famiglia, forse a causa dei
continui matrimoni fra consanguinei. Basti ricordare i casi di due zie di
Ludwig: la principessa Maria si cambiava d’abito tre o quattro volte al
giorno vestendo sempre e solo abiti bianchi per potervi scorgere anche il più
piccolo granello di polvere, mentre la sorella Alessandra visse per anni
convinta di aver ingoiato un pianoforte di vetro.
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La sfortunata Sofia Carlotta.
Benché apparentemente perfetto, il
fidanzamento con la duchessa Sofia Carlotta fu senz’altro uno dei momenti più
difficili per Ludwig. Mentre tutta la Baviera festeggiava con l’esposizione
di stampe che ritraevano i futuri sposi, egli sapeva che non avrebbe mai
potuto compiere quel passo. I mesi del fidanzamento furono terribili per
Sophie che vedeva il fidanza arrivare alle ore più improbabili per chiederle
di cantare qualche aria di Wagner, compositore amatissimo anche da lei, per
poi dileguarsi nella notte e non comparire più per giorni interi. Arrivò
persino a lasciarla sola nel corso del ballo dato in loro onore per
festeggiare il fidanzamento. Spinto dalla cugina Elisabetta, che aveva a
cuore la reputazione del cugino, oltre che il futuro della sorella, Ludwig
cercò di rinviare più volte il fatidico giorno, finché il duca Max, padre
della futura sposa, non gli scrisse una lettera durissima per costringerlo a
prendersi la sua responsabilità. Offeso dalle pretese di quello che
considerava un suo vassallo, Ludwig colse il pretesto per rompere il
fidanzamento. Sophie, addolorata e umiliata, si sposò nel 1868 con Ferdinand
d’Orléans duca d’Alencon. Morirà arsa viva nel 1897 nel terribile incendio al
Bazar della Charité a Parigi.
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Castelli di fiaba.
La mitologia di Ludwig è
strettamente legata ai suoi manieri, ancora oggi tra le mete turistiche più
battute d’Europa. In essi si ritrovano tutte le ossessioni e i sogni del
sovrano bavarese: a Linderhof si può ammirare una tavola montata su uno
speciale montacarichi che la abbassa al piano sottostante per permettere ai
valletti di sparecchiare senza disturbare il re con il loro andirivieni. Nel
parco si trova la Grotta di Venere, una caverna artificiale costruita in
acciaio e cemento che richiama quella del Tannhauser wagneriano, illuminata
da decine di lampade colorate.
A Herrenchiemsee trova posto la
riproduzione perfetta (ma più grande) della celebre Galleria degli Specchi di
Versailles: il sovrano la abbandonò dopo una sola notte, dopo aver scoperto
che per risparmiare vi erano state collocate statue di gesso invece che di
marmo.
A Neuscwanstein, tra lo studio e
la camera da letto, trova posta una piccola grotta con ruscello ma anche il
primo citofono elettrico di Baviera: Ludwig era infatti molto attratto dalla
tecnologia, ogni novità lo affascinava. Costati cifre enormi alla tesoreria
di
Stato e alla cassa personale del
sovrano, fortunatamente i castelli non vennero però distrutti alla morte del
re, come invece egli stesso aveva disposto nel testamento.
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IL SOVRANO MISANTROPO. Sentendosi
ingiustamente privato di quello che considerava il suo amico più caro, Ludwig
decide di ritirarinsi nei castelli di Hohenscwangau e Berg, costringendo i suoi
ministri a percorrere chilometri in carrozza per essere ricevuti in udienza in
mezzo a un bosco o su un isolotto al centro di un lago. Ma un sovrano ha dei
doveri dai quali non può fuggire neanche rinchiudendosi nel castello più
lontano, primo fra tutti quello di sposarsi.
Ormai ventunenne,
Ludwig è uno dei partiti più appetibili d’Europa, ma la scelta della futura
regina non è affare da poco: oltre alle voci sulla sua sessualità indefinita si
sa che il giovane re non ha un carattere facile.
In privato ha
dichiarato più volte di non volere al suo fianco una donna gretta e ignorante
come la madre. Il suo ideale sarebbe una principessa nobile e pura simile alle
eroine wagneriane. Il novello Lohengrin cerca la sua Elsa e la trova nella
duchessina Sofia Carlotta, figlia del duca Max, discendente di un ramo cadetto
dei Wittelsbach, ma soprattutto sorella dell’amata cugina Elisabetta
imperatrice d’Austria (la celebre Sissi), per la quale Ludwig prova
un’ammirazione e un affetto profondi fin da quando era bambino. La cosa non
deve stupire poiché Ludwig ed Elisabetta, cugini di secondo grado, hanno molto
in comune: benché abbiano otto anni di differenza sono cresciuti vicini,
entrambi spiriti liberi, ribelli, insofferenti ai cerimoniali, amanti della
poesia e delle cavalcate notturne. Il fidanzamento, certamente sponsorizzato da
Elisabeth, l’unica a cui Ludwig non sa negare nulla, viene annunciato nel
gennaio del 1867 con grande giubilo di tutta la nazione, ma il matrimonio non
verrà mai celebrato a causa di una brusca rottura causata dai continui rinvii
del sovrano. È ancora scandalo, il giovane re è più chiacchierato che mai. Nel
1866 scoppia la guerra. La disputa peri l controllo di due ducati situati nel
Nord Europa ha fatto litigare Austria e Prussia.
Alleata di entrambi i
contendenti, la Baviera e con essa Ludwig è costretta a una scelta dolorosa:
far la guerra all’amata cugina Elisabetta (e all’Austria), oppure a quello dio
zio Guglielmo (e alla Prussia), il soldataccio volgare e sempre in divisa, che
già accarezza l’idea di diventare imperatore di Germania. non volendo prendere
parte a una guerra che reputa inutile e incestuosa, Ludwig sceglie ancora una
volta la fuga e si rifugia sull’Isola delle Rose. Ai ministri che vengono in
processione per chiedergli di intervenire a favore di uno o dell’altro
schieramento il re risponde che non vuol sentir parlare di morti e feriti. Poi
cede e firma l’alleanza con l’Austria per una guerra che, dopo sette settimane,
conduce la Baviera a un’avvilente sconfitta, privandola definitivamente di
qualsivoglia influenza sul futuro impero germanico. Umiliato, costretto da
Bismarck a firmare una lettera in cui chiede di accogliere la Baviera con Stato
membro dell’Impero germanico. Ludwig scappa di nuovo, sempre più lontano. Dello
splendido diciottenne che dieci anni prima era salito al trono non resta nulla:
diventato massiccio e pesante, con i suoi centodieci chili di peso, i denti
anneriti dalle carie causate dai confetti che mangia a manciate e gli occhi
cerchiati di rosso, il sovrano è irriconoscibile. Caduto in una sorta di
profonda depressione, Ludwig inizia così quell’alienante percorso di isolamento
che lo condurrà alla rovina. Non vuol vedere più nessuno e non intende più
occuparsi degli affari di stato. I suoi ministri, del resto, hanno tutto
l’interesse a lasciare sul trono un re che non governa.
Ammaliato dal genio di Wagner.
Nessun artista moderno ha mai
goduto dei privilegi e dei sostegni che Richard Wagner ottenne da re Ludwig.
Del resto, il grande musicista era visto, in Germania e all’estero, come il
riformatore del melodramma, un gigante della musica e delle arti in generale.
Egli non stava solo ripensando il mondo dell’opera e del teatro, ma per la prima
volta operava una sorta di fusione delle arti capaci di legare musica e
parole, scenografie e trama in un tutt’uno. L’ammirazione nutrita da Ludwig
nei suoi confronti era sconfinata, tanto da consentire al musicista di
attingere alle casse del regno per costruire la Festpielhaus, un teatro di
nuovissima concezione che dal 1876 non ha smesso di rappresentare il mondo
operistico wagneriano. Molte sono le innovazioni introdotte nel nuovo tempio
della lirica: non vi sono più i palchi tipici dell’opera italiana, le luci si
spengono durante la rappresentazione (che avviene in silenzio, invece che ne
cicaleccio, com’era avvenuto fino ad allora) e l’orchestra suona nel
cosiddetto “golfo mistico”, una buca appositamente studiata per non
intralciare la visuale della scena. Insomma, la rappresentazione teatrale non
è più un pretesto per chiacchierare e fare nuove conoscenze, ma diventa più
simile a una funzione sacrale: sul palco si svolge un dramma globale, fatto
di parole e musica, che contiene concetti spirituali e filosofici e al quale
occorre assistere con un atteggiamento quasi religioso. Wagner compone,
scrive i libretti, dà indicazioni scenografiche e drammaturgiche: incarna,
insomma, quell’”Artista totale” vagheggiato dal muto romantico.
Ludwig è totalmente affascinato
dalla mente e dalle opere del maestro, e si immerge completamente nei miti da
lui proposti sul palco. Ne danno testimonianza i castelli di gusto medievale
eretti in luoghi inaccessibili e ricolmi di pitture e sculture dedicate
all’antica cosmogonia germanica.
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“Vostro e fedele fino alla morte”.
Ecco la lettera di commiato
inviata da Ludwig a Richard Wagner per chiedergli di lasciare la Baviera nel
1865:
“Caro amico! per quanto ciò mi addolori, sono costretto a chiedervi di
aderire alla richiesta che vi ho fatto ieri tramite il mio segretario.
Credetemi, non avevo altra scelta. Il mio amore per voi durerà per sempre e
vi prego di conservare per me la vostra amicizia in terno; posso dichiarare
in piena coscienza di esserne degno. Sebbene separati che ci può dividere? So
che condividete il mio sentimento, che potete comprendere la profondità del
mio dolore. Non potevo agire diversamente, siatene certo. Non dubitate mai
della fedeltà del vostro migliore amico. certamente (questa forzata
separazione) non sarà per sempre. Vostro e fedele fino alla morte. Ludwig”.
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LA MANIA DEI CASTELLI. Finalmente sottratto
agli affari di stato, il sovrano volge i suoi interessi verso progetti
architettonici maestosi. Fin da quando era ragazzino, Ludwig ha manifestato un
grande interesse per le costruzioni: era capace di restare per ore ad ammirare
in silenzio le stampe che ritraevano le regge più sontuose d’Europa, da
Versailles a Caserta, da Sanssouci a Schonbrunn. Appena diventato sovrano ha
cominciato a ristrutturare i castelli paterni, apportando modifiche
scenografiche: sul tetto della Rezidenz di Monaco fa allestire un lago
artificiale sormontato da un’enorme luna che vi si specchia (luna che una sera
cade nell’acqua provocando infiltrazioni nell’appartamento della regina madre).
Il primo passo, nel 1863, è la costruzione della Linderhof, piccola preda
barocca incastonata tra le Alpi, ideata ispirandosi al Trianon e contornata da
un parco disseminato di chioschi che riproducono gli amatissimi ambienti delle
opere wagneriane. Nel 1869 ordina la costruzione del suo sogno più segreto, il
castello di Neuscwanstein, incarnazione di quei magnifici castelli
medieval-romantici che ha sempre visto a teatro sulle scenografie dipinte,
altare pagano eretto a celebrazione degli eroi di Wagner. E nove anni più
tardi, nel 1878, avvia la costruzione della sua follia più grande, il castello
di Herrenchiemsee, perfetta riproduzione del corpo centrale del palazzo di
Versailles. Tre incubi di pietra per i ministri che non sanno più come far
rientrare nel bilancio governativo le cifre spese per la loro costruzione.
Assorbito dai cantieri
dei suoi castelli (ma soltanto Linderhof sarà abitato con una certa frequenza),
Ludwig decide di concretizzare i suoi deliri. A tavola c’è sempre un posto apparecchiato
nel caso in cui Sua Maestà Luigi XV decida a sorpresa di venire a cena. I
valletti vengono assunti solo se di bell’aspetto, scelti da fidatissimo
scudiere (amante, secondo le male lingue) Richard Hornig, ma viene ordinato
loro di non guardare mai il sovrano negli occhi, talvolta costretti a vacare
nel maniero bendati. Se si invaghisce di qualcuno Ludwig sa essere
generosissimo, ma in cambio pretende devozione totale: lo sa bene l’attore
Josef Kainz che, inviato a Linderhof, viene tenuto sveglio giorno e notte,
costretto a recitare di continuo i prediletti versi di Schiller, salvo poi
essere cacciato per esseri addormentato, per la stanchezza e aver russato.
Desideroso di
viaggiare, ma insofferente all’idea di doversi sobbarcare la fatica degli inevitabili
ricevimenti ufficiali, Ludwig monta per ore a cavallo girando in tondo, per poi
calcolare la strada percorsa e immaginare di essere arrivato a Vienna o Parigi.
Si fa costruire una magnifica slitta dorata con la quale scorazza di notte tra
i boschi innevati, gettando nel panico i poveri contadini che all’improvviso
vedono apparire il sovrano nella stalla a chiedere un bicchiere di buon latte
appena munto.
Sempre più prigioniera
dei suoi fantasmi, la sua labile mente vaga tra sogni e rimpianti, progetti e
malinconie. A nulla valgono i richiami alla realtà dei suoi ministri, del suo
popolo e perfino della cugina Elisabetta. Non gli importa più di nulla, nemmeno
di quell’odiato cugino prussiano sempre in divisa che si è fatto incoronare
imperatore, rendendo la sua amata Baviera un feudo della nuova Germania. E’
terrorizzato all’idea di fare la fine del fratello Otto, rinchiuso nel castello
di Furstenried a causa di una malattia mentale di tanto in tanto lascia il suo
dorato isolamento è solo per condividere con il vecchio amico Richard Wagner la
gioia per l’inaugurazione, a Bayreuth, di quel tanto sospirato teatro da
dedicare alle sue opere. Poi torna tra le sue montagne.
IL MISTERO DELL’ULTIMA PASSEGGIATA. Poi,
l’11 giugno 1886, alcuni signori vestiti di nero bussano al portone del
castello di Neuscwabstein. È una delegazione di ministri e funzionari che,
guidata dal dottore von Gudden, è venuta ad annunciare al sovrano di essere
stato destituito a causa del disturbo mentale che gli impedisce di governare.
Lui grida al tradimento, alla congiura. Viene portato a forza nel castello di
Berg, trasformato per l’occasione in una piccola clinica psichiatrica da cui
sono spariti coltelli, oggetti contundenti e perfino le maniglie delle porte.
Di fatto è la sua prigione, da cui non potrà più allontanarsi perché un re che
non sa regnare non può vivere in pubblico e anzi non ha più diritto a nulla,
nemmeno alla libertà di vivere come gli piace.
Apparentemente
tranquillo e rassegnato, la sera del 13 giugno l’ex sovrano chiede di fare una
passeggiata in riva al lago. Accompagnato dal professor von Guddden, si inoltra
nel bosco. Nessuno dei due tornerà più indietro. I loro cadaveri vengono
trovati in acqua, poco distanti dalla riva del lago. Ancora oggi è impossibile
stabilire con certezza che cosa sia successo: c’è chi parla di tentativo di
fuga finito in tragedia, altri di suicidio, altri ancora di regicidio. Qualcuno
giura di aver udito uno sparo, qualcun altro di aver visto anni dopo il
cappotto del re con un buco in corrispondenza della schiena. Ipotesi, solo
ipotesi. È assai probabile che Ludwig abbia tentato di sottrarsi al controllo
del medico per scappare a nuoto e che, una volta entrato nell’acqua gelida,
dopo aver stordito Gudden con un pugno per liberarsi dalla sua stretta, sia
collassato a causa di una congestione. Resta il mistero. La sua fine avverò ciò
che Ludwig aveva chiesto al suo fato: “Voglio rimanere un eterno enigma, per
gli altri e per me stesso”.
La salma del re Ludovico II composta nella bara nella cappella di corte della Residenza di Monaco; 16-18.6.1886
Articolo in gran parte
di Enrico Ercole pubblicato su Conoscere la storia n. 50 – altri testi e
immagini da wikipedia.
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RispondiEliminaMa se gli orologi dei cadaveri segnavano orari differenti, 18:00 quello del Re e le 20:00 quello dello psichiatra, come può allora ipotizzarsi una morte più o meno istantanea dei due? Io credo che ci si
RispondiEliminadebba informare meglio prima di sentenziare circa la morte del Sovrano.