Amedeo VIII
L’antipapa di casa
Savoia.
Dopo aver governato
con successo un piccolo Stato, Amedeo si ritirò in preghiera finché gli fu
chiesto di fare il papa. E lui accettò.
Amedeo VIII duca di Savoia
Anche
tra i primi Savoia, in mezzo a personaggi opachi, che lasciarono di sé un
ricordo molto labile, emergono alcune figure assolutamente straordinarie. Come
quella del primo duca Amedeo VIII, la cui vita fuori dall’ordinario sembra
nascere dalla fantasia di un romanzo. Le premesse non sembravano le migliori. Esile, leggermente strabico, poco predisposto
alle attività cavalleresche, da bambino, era nato nel 1383, pareva uno di tanti
ragazzi destinati a non arrivare all’età adulta. In questo fu molto diverso dal
padre e ancora più dal nonno Amedeo II. Fisicamente limitato, il bimbo seppe
invece sviluppare la sua personalità in un altro modo, interpretando nel modo
migliore il passaggio epocale che il mondo occidentale stava vivendo. Il
Medioevo era ormai al tramonto, almeno in Italia, e stava emergendo una nuova
figura, quella del principe. Costui non combatteva le guerre in prima linea ma
le progettava a tavolino, studiava gli equilibri diplomatici per sfruttarli a
suo favore, viaggiava forse poco, ma badava a tenere rapporti diplomatici
frequenti e attivi con tutto il mondo che contava. Se analizziamo gli anni del
governo di Amedeo VIII, non troviamo né grandi imprese né conquiste. Il suo
governo restò sempre fondato sull’equilibrio e sull’equidistanza tra le parti.
In un periodo di guerre continue, questo Savoia riuscì a trarre vantaggio dal
fatto di non schierarsi con nessuno, e presentandosi invece come garante
dell’equilibrio. Come quando gli fu conferito il titolo di duca non quale
premio per una guerra vinta a fianco dell’imperatore, ma perché grazie
all’importante titolo (molto più alto di quello di conte) egli poteva tenere a
freno gli appettiti dei francesi sulle terre di confine con l’impero.
Amedeo VIII proseguì,
attraverso acquisti e incorporazioni, lo sviluppo territoriale del suo dominio,
ma probabilmente il suo merito maggiore è rappresentato dagli Statuti del 1430.
Il territorio che governava era molto diversificato per caratteristiche
naturali e origini culturali. Non potendo perciò imporre regole e strutture
omogenee. Amedeo preferì, saggiamente, optare per un’opera di riordinamento,
ciò si realizzò attraverso un sistema amministrativo piuttosto efficiente e
razionale.
Gli statuti sabaudi.
Promulgati da Amedeo VIII nel
1430, gli Statuti Sabaudi costituivano un vero e proprio che raccoglieva le
leggi dei territori sotto i Savoia. Essi fornivano le basi per un ordinamento
più moderno dello Stato e davano regole scritte e univoche per i tre
consigli, la Tesoreria e la Camera dei Conti. Contenevano anche alcune
disposizioni contro gli ebrei, ai quali veniva imposto di abitare in un luogo
separato dai cristiani (quello che sarà il ghetto). Agli israeliti era anche
vietato uscire di notte “affinché le
menti dei fedeli non siano corrotte dalla vicinanza dei Giudei, e gli stessi
Giudei non possano nuocere ai Cristiani”. Inoltre gli ebrei, dopo il
compimento del settimo anno, avevano l’obbligo di portare sulla spalla
sinistra un contrassegno di panno con il simbolo di una ruota bianca e rossa “per dare ai fedeli la possibilità di
scansare gli infedeli”.
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Il ritiro di
Ripaglia.
“Lungo un tracciato rettangolare di 158 metri di lunghezza e 70 di larghezza, fu tracciato un fossato profondo 7 m. L’edificio costruito ebbe circa 100 m. di lunghezza e consisteva in una cortina solenne in cui erano incastonate sette torri circolari: la più alta era per il capo dell’Ordine, cioè lo stesso duca. Ogni torre era fornita di una scala a chiocciola che conduceva al piccolo appartamento dell’eremita: una camera, uno studio, una cameretta per il servitore, una cucina, un cellario; davanti a ogni torre vi era un orticello. L’accesso a questa originale casa dei Cavalieri era dato da un ponte levatoio che fu chiamato ‘Ponte Felice’, poiché la felicità era promessa a chi la varcava con animo retto. L’edificio comprendeva una sala per il Capitolo dell’Ordine e una cappella dedicata a Nostra Signora. Un altro accesso attraverso la palizzata conduceva al bosco” Da Maurice Brouchet, Le Chateau de Ripaille 1907.
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UNA VITA TRA POTERE E FEDE.
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1383
Il 4
settembre, a Chambery nasce Amedeo, figlio di Amedeo VII, detto Conte Rosso,
e di Bona di Berry. Timido e introverso, dopo la morte del padre viene
separato anche dalla madre, costretta a risposarsi.
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1401
Amedeo sposa
Maria di Borgogna. Anche se è maggiorenne da qualche anno, ha cominciato
soltanto da poco a esercitare effettivamente il potere dopo la lunga reggenza
della nonna Bona di Borbone.
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1404
Su iniziativa
del principe di Savoia-Acaia, nasce l’Università di Torino. Intanto,
sfruttando le proprie doti diplomatiche, Amedeo continua a far crescere i
confini del suo territorio, pur senza avventurarsi in guerre.
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1416
Amedeo ottiene
dall’imperatore Sigismondo la trasformazione della contea in ducato: diventa
così il primo duca di Savoia. Il suo dominio, comprende Savoia, Moriana, Val
d’Aosta e parte del Piemonte.
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1430
Amedeo
promulga gli Statuti Sabaudi, la raccolta delle leggi in vigore nei territori
della Savoia da lui governati. Il testo contiene anche le prime disposizioni
contro gli ebrei che vivono nello Stato sabaudo.
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1434
In autunno
Amedeo si ritira nel castello di Ripaglia, accompagnato dalla corte e da sei
tra i suoi più fidati cavalieri, rinunciando al potere in favore del figlio Ludovico.
Il castello divnta una specie di monastero.
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1438
Benchè
dichiari di non volerlo, considerandosi un saggio ma non un religioso né un
teologo, Amedeo accetta la proposta
del Concilio di Basilea e il 24 maggio diviene papa (in realtà antipapa) con
il nome di Felice V
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1449
Dopo le
dimissioni spontanee dal soglio pontificio e la nomina a cardinale da parte
del papa legittimo Niccolò V, Amedeo torna a Ripaglia e alle cure del suo
ducato. Muore nel castello di Ripaglia nel 1451
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Castello di Ripaglia
Château de Ripaille
Château de Ripaille
Un monastero particolare. La sua posizione
consistette nella creazione di un principato regionale che raggruppasse sotto
di sé i particolarismi locali. Poi potenziò il Consilium cum domino residens
creato dal Conte Verde (un altro grande Savoia). La sua intenzione era quella
d’istituire un gruppo ristretto di collaboratori che assistesse e seguisse il
signore nei suoi spostamenti e che assommasse in sé competenze esecutive,
legislative e giudiziarie. Era un organismo efficiente, che garantiva la
professionalità e l’esperienza necessarie, per esempio, a dirimere le
controversie che potevano facilmente nascere tra i diversi poteri locali. Sotto
al Consilium ce n’era un altro, formato da funzionari amministrativi, che aveva
sede a Chambéry; presto se ne aggiungessero uno a Torino e un altro ad Annecy:
Amedeo VIII volle così istituire un organo di governo locale che comunicasse le
decisioni del signore, e inoltre che ne autenticasse e conservasse gli atti
pubblici. In questo disegno, la fiscalità e la contabilità erano affidate alla
Tesoreria, mentre la Corte dei Conti era chiamata a controllare la correttezza
degli atti degli amministratori. La struttura organizzativa del ducato di
Amedeo VIII era basata sulle castellanie, un centinaio in tutto, con funzionari
che avevano allo stesso compiti militari, amministrativi, finanziari e
giudiziari. Anche se apparentemente era centralizzata, in realtà la struttura
seppe tenere conto dei preesistenti poteri locali. Frequentemente i suoi
funzionari erano gli stessi aristocratici, il che servì a dare vita a quella
relazione e collaborazione fra centro e periferia che avrebbe caratterizzato in
positivo il Ducato di Savoia. Nel 1424, Amedeo VIII elevò il Piemonte al rango
di principato. Ciò avvenne a Thonon, il 15 agosto, giorno dell’Assunta.
Contestualmente il duca conferì al nuovo principato la sua bandiera,
sovrapponendo alla Croce di Savoia (d’argento in campo rosso, eventualmente
bordata in azzurro) il lambello (un listello nella parte alta dello scudo) a
tre gocce del medesimo colore. Questa insegna è ancora oggi l’emblema del
Piemonte, detta el Drapo. Da un uomo capace di organizzare un simile progetto
(il quale dimostrava grande lucidità, senso dello Stato e una visione laica
della società da cui l’ingerenza della Chiesa era esclusa), non ci sarebbe
aspettati una decisione come quella presa nell’ottobre del 1434. Quell’autunno,
rimasto vedovo della moglie Maria di Borgogna, Amedeo VIII decise infatti di
abbandonare la vita pubblica per ritirarsi nel monastero di Ripaglia, vicino
alle rive del lago di Ginevra, in Alta Savoia. Già castello sabaudo, questo
grande edificio venne trasformato in monastero, mediante la costruzione di
sette torri circolari, destinate ad accogliere il duca ed i suoi più fidati
cavalieri, i primi membri dell’Ordine dei cavalieri romiti di San Maurizio (dal
nome del santo protettore dei sovrani di Borgogna e di casa Savoia). Si
trattava indiscutibilmente di un ordine molto particolare, più simile a un
consiglio di Stato che a un vero e proprio ordine religioso. Amedeo continuava
a dirigere dall’eremo gli altari più importanti del ducato, incontrando i suoi
compagni di eremitaggio due volte alla settimana per trattare le questioni
politiche. Si racconta che quei primi cavalieri dell’ordine mauriziano avessero
tutti barba e capelli lunghi e che indossassero una tonaca grigia con
cappuccio, con una croce d’oro sul petto. La mensa era in comune, ma più simile
a quella di una corte che di un convento. Tutti i membri dell’Ordine Mauriziano
disponevano di una rendita per le spese e vivevano in una torretta indipendente
con un piccolo giardino, accuditi da servitori. La torre di Amedeo VIII era la
più grande e la sua servitù la più numerosa. Era dunque una vita monastica
molto particolare, che certo rispondeva al carattere riservato e riflessivo di
Amedeo, ma che secondo alcuni era una strategia finalizzata a raggiungere un
obiettivo segreto e ambizioso: diventare papa.
In quegli anni i padri
conciliari, appoggiati dalle monarchie francese e inglese (le quali spingevano
per una maggiore autonomia del loro clero dagli obblighi anche economici verso
il papato) volevano godere di un’autorità svincolata da quella del pontefice.
Per questo motivo i rapporti del Concilio e la Santa Sede erano diventati
alquanto burrascosi.
La Sacra Sindone e il tesoro di
casa Savoia.
La Sindone fotografata da Giuseppe Enrie (1931). In alto l'immagine dorsale (capovolta), in basso quella frontale. Ai lati delle immagini si vedono le bruciature dell'incendio del 1532 e i relativi rattoppi (rimossi nel 2002)
Vent’anni dopo la morte di Amedeo
VIII, i duchi di Savoia entrarono in possesso della Sacra Sindone, la più
importante e studiata reliquia della cristianità, che è attualmente conservata
a Torino. Non si sa molto della storia di questo oggetto prima della sua
ricomparsa in Francia nel XIV secolo. Nel 944 un sudario su cui appariva
un’immagine “archeropita”cioè non creata manualmente, si trovava a
Costantinopoli. La reliquia era già nota e per i secoli era stata conservata
a Edessa, dove sarebbe stata portata da Taddeo, uno dei discepoli di Tommaso,
che era stato inviato alla corte del sovrano per catechizzarlo e battezzarlo.
A Edessa il telo, venerato come Mandylion, era tenuto piegato e incorniciato
in un reliquario, a mostrare solo il volto come ritratto. Quando scomparve
dopo il saccheggio di Costantinopoli del 1204, probabilmente ad opera dei
Cavalieri Templari, la reliquia fu nascosta a lungo in un luogo segreto.
Forse era proprio la Sindone, e non un simbolo pagano, l’immagine che i
templari vennero accusati di venerare. Riapparso più volte nei secoli, ma si
trattava probabilmente di copie raffiguranti solo il volto di Gesù, che
andarono perdute, come quella conservata a Besancon, distrutta durante la
rivoluzione francese. Nel 1353 la Sindone che conosciamo era ricomparsa a
Lirely, vicino a Parigi. Ne venne fatta una pubblica ostensione, con una
clausola voluta dall’antipapa Clemente VII: l’avvertimento che quella non era
la vera Sindone, ma una rappresentazione. Nel 1453 Margherita, discendente di
Geoffry de Charny, il cavaliere che aveva portato la reliquia a Lirey, la
cedette, probabilmente per difficoltà economiche, ad Anna di Lusignano,
moglie di Ludovico di Savoia. I duchi di Savoia la trasferirono a Chambery,
dove a partire nel 1502 venne collocata nella Sainte Chapelle della
cattedrale. Qui venne danneggiata dall’incendio: le suore clarisse ripararono
i danni con rappezzi triangolari e foderarono con un tessuto di sostegno. Il
trasferimento a Torino fu voluto da Emanuele Filiberto per facilitarne il
pellegrinaggio del cardinale Carlo Borromeo in adempimento al voto che il
santo aveva fatto per la liberazione di Milano della peste.
Nel 1694 la Sindone fu collocata
nella cappella progettata dal Guarini tra la cattedrale di Torino e il
Palazzo Reale. Nei secoli seguenti furono fatte varie ostensioni. In
occasione di quella del 1898 si scattarono le prime fotografie della Sindone,
mentre scoppiarono nuovamente polemiche sull’autenticità e sulla datazione.
Per proteggerla dai rischi della guerra nel 1939 la Sindone venne nascosta nel
santuario di Montevergine, vicino ad Avellino per tornare definitivamente nel
1946 a Torino.
La Sindone è certamente la più
celebre reliquia della cristianità e continua ed essere oggetto di studi
scientifici e diatribe fra credenti e non credenti. Uno dei più famosi
progetti di ricerca è stato lo Shoroud of Tourin Research Project, conclusi
nel 1981. Una serie di test preliminari compiuti sul tessuto portarono alla
conclusione che la Sindone non fosse il prodotto di una pittura. Si trattava,
secondo i ricercatori di un lenzuolo dentro al quale era stato avvolto un
uomo che aveva effettivamente i segni corrispondenti a quelli che avrebbe
avuto un corpo crocifisso. Con le prove a disposizione i ricercatori
conclusero che fosse impossibile determinare come fosse rimasta così
nitidamente impressa sul lenzuolo. Vennero fatti altri test più invasivi.
Quello con il carbonio 14 stabilì al 95% , che la Sindone era databile tra il
1262 e il 1384, un periodo compatibile con le prime tracce storiche di cui
disponiamo. Seguirono critiche al metodo usato ed alla scelta del tessuto da
analizzare.
Oggi il mistero più grande è il
modo in cui il disegno umano si è potuto fissare sul tessuto. La Chiesa non
ha mai avvallato l’autenticità dell’oggetto, lasciando tale compito alla
scienza, ma ne autorizza la venerazione come “icona della passione di Gesù”.
Certo che l’immagine che appare guardando il negativo della fotografia della
Sindone è sconvolgente: un uomo crocifisso coperto di piaghe e ferite, così
come il Vangelo descrivono il Cristo dopo il supplizio. Dopo essere
appartenuta ai Savoia per secoli, dopo la morte di Umberto II, nel 1983 per
volontà testamentaria la reliquia è passata alla Chiesa che ne ha affidato le
cure a un custode pontificio, che attualmente è l’arcivescovo di Torino.
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Nelle vesti papali.
Al termine di una vita ricca di
traguardi, arrivò per Amedeo VIII l’onore più imprevisto e
forse meno desiderato: l’onore di
essere eletto papa dal Concilio di Basilea nel 1431. Ecco Amedeo in una
stampa tedesca, con il triregno (la tiara triplicemente coronata) del suo
nuovo ruolo: quello di papa con il nome di Felice V.
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Il piccolo scisma d’occidente. Nel 1439 il
Concilio di Basilea, riaprendo nella Chiesa cattolica uno scisma che
serpeggiava da quasi cinquant’anni e che si era cercato di comporre con il
Concilio di Costanza, decise di proclamare Amedeo VIII papa dopo aver accusato
di eresia Eugenio IV. Alcuni storici affermano che Amedeo VIII fu assai
riluttante ad accettare la tiara, aborrendo dall’idea di contenderla a Eugenio
IV e di veder continuare le discordie che straziavano la Chiesa. Altri invece
gli rimproverano di aver seriamente aspirato alla dignità papale e di aver
brigato per conseguirla. Certamente papa Eugenio IV rappresentava la Chiesa
secolare in cui prosperavano la corruzione e gli abusi, mentre il Concilio di
Basilea, che aveva innalzato il duca Amedeo VIII al soglio pontificio con il
nome di Felice V, sosteneva la necessità di una profonda riforma e
purificazione. Fatto sta che Amedeo accettò la nomina, abdicò a favore del
figlio Lodovico e si recò a Basilea, dove entrò solennemente il 4 giugno 1440.
Naturalmente papa Eugenio IV lo scomunicò e la Chiesa fu nuovamente divisa da
uno scisma che durò dieci anni. In quel periodo Amedeo cercò comunque du fare
il papa quanto meglio poté e di ricomporre la Chiesa sotto un unico pontefice.
Le grandi potenze
dell’epoca non presero una posizione precisa: si dovette attendere la morte di
Eugenio IV e l’elezione del nuovo papa Nicola V perché, su iniziativa del re di
Francia, cessasse lo scisma. Non fu difficile convincere Felice V ad accettare
la rinuncia al pontificato e a riconoscer l’autorità di Nicola V. era stanco e
anziano, e probabilmente aveva già raggiunto gli obiettivi che si era posto per
sé e per la propria dinastia. In cambio gli fu revocata la scomunica e gli
venne concesso l’onore di essere ricordato non come antipapa, ma come “già Felice
V papa”. Poi fu nominato cardinale, vescovo di Sabina, e “primo principe della
Chiesa dopo il sovrano pontefice”. Gli restò anche il ricco vescovado di
Ginevra. Ma preferì tornare alla vita monastica. Amedeo morì poco dopo nel
1451.
Articolo in gran parte
di Alessandro Melicotti pubblicato su Conoscere la Storia n. 50 Sprea Editori.
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